sabato 29 novembre 2014

2A - Falegnami si diventa

Brevissimo video del laboratorio di venerdì e qualche foto:








Qui invece si prepara il grano per la semina:



venerdì 28 novembre 2014

Il cacao di Richard

Oggi Richard ha portato a scuola un regalo portato dallo zio tornato dall'Africa. Un frutto dell'albero del cacao (Theobroma cacao) che abbiamo aperto insieme.
Il frutto si chiama cabossa, che ha la buccia solcata da 10 strisce longitudinali, e contiene molti semi avvolti una sostanza zuccherina gelatinosa.



All'interno sono racchiusi numerosi semi disposti in file:


Noi ne abbiamo tagliato uno. Si vede che è scuro:


Cosa si può fare con questi semi, detti fave?
Non si può fare il casa il procedimento industriale. Inoltre di solito le fave vengono asciugate al sole, distese su grandi stuoie, e mescolate continuamente, in modo che fermentino (vedi più avanti). Dopo una settimana l’acqua è in gran parte evaporata e le fave sono più scuro e con un aroma più accentuato.

La fermentazione (processo mediante i quali molti microrganismi, per la produzione dell’energia necessaria alle loro attività metaboliche, utilizzano l’energia chimica prodotta dalla demolizione di zuccheri) è un passaggio fondamentale per produrre quelle sostanze che poi, con la tostatura, daranno aroma al cioccolato.

Provare a fare il cioccolato?
Si potrebbe lasciare qualche giorno i semi a fermentare. Poi si potrebbe spazzolarli per rimuovere i residui e procedere con la tostatura in forno ad una temperatura tra i 110 °C e i 140 °C (in una ricetta ho trovato 120°C per 18 minuti; le fave diventano fragili e si rompono facilmente). In questo processo una reazione chimica (reazione di Maillard) produce le sostanze aromatiche che tanto apprezziamo.  Al termine della cottura, si rimuove il guscio. Poi potremmo schiacciare le fave (forse potremmo usare la macchina per fare la pasta, schiacciando tra due rulli le fave; frullatore, minipimer, macinacaffè  e tritacarne non vanno bene). Data la difficoltà di riprodurre in casa la procedura che utilizza macchinari speciali, potremmo fare il cioccolato di Modica.

Conosci il cioccolato di Modica?

Durante la loro dominazione in Sicilia (1600) gli Spagnoli introdussero a Modica la lavorazione del cioccolato così come l’avevano appresa nelle Americhe.

Si parte dai semi macinati. La massa viene riscaldata per renderla fluida e ad una precisa temperatura viene mischiata a zucchero semolato e spezie (cannella o vaniglia).
 Il composto così ottenuto viene mantenuto ad una temperatura non troppo alta in modo che si sciolgano i cristalli di zucchero. Il composto ottenuto si mette su degli stampi che verranno poi battuti per ottenere la tavoletta.

Storia del cacao
Sembra che i Maya dello Yucatan (Messico) crearono la prima piantagione di cacao nel 600 dC.
I conquistatori spagnoli ne scoprirono i frutti, che i nativi usavano sia per preparare bevande sia come moneta di scambio. I semi venivano arrostiti in pentole di coccio e triturati con delle pietre. Veniva preparata una bevanda amara detta Xocoatl.
Il cacao sbarca in Europa nel 1544, dove per la prima volta venne bevuto con lo zucchero.
Nel 1727 Nicholas Sanders aggiunge il latte al cacao ottenendo una specie di “cioccolata al latte”.
Nel 1828 che il chimico olandese Conrad van Houten inventò un procedimento per pressare la pasta di cacao e separare parte del grasso detto burro di cacao.
Con il burro di cacao, unito a zucchero e cacao macinato, l'inglese Joseph Fry otteneva una pasta che poteva essere modellata.  Nasce così la prima tavoletta di cioccolato, commercializzata dalla sua azienda, la Fry & Sons, nel 1847.
Nel 1865 l’Italiano Paolo Caffarel aggiunge delle nocciole alla pasta di cioccolato, creando il gianduiotto.
Nel 1875 Daniel Peters in Svizzera ha l’idea di aggiungere il latte al cioccolato ma ottenne risultati poco soddisfacenti. Un altro svizzero, Henry Nestlè, che aveva appena inventato il latte condensato, lo addizionò alla massa di cacao migliorando enormemente il processo.
Nel 1879, Rudolph Lindt perfeziona ulteriormente il cioccolato introducendo il concaggio, processo in cui dei rulli di granito passano avanti e indietro anche per giorni sulla massa di cioccolato, riducendo le dimensioni delle particelle di cacao. Lindt produce il primo cioccolato fondant, il fondente. Mentre prima la tavoletta di cioccolato andava masticata, con il processo messo a punto da Lindt si scioglie in bocca.

Altre notizie :
http://it.wikihow.com/Fare-il-Cioccolato
http://www.alimentipedia.it/fave-di-cacao.html
http://www.aidepi.it/

lunedì 24 novembre 2014

Samantha tra le stelle

È cominciata Futura, la missione dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), la seconda dell'Agenzia spaziale italiana.
Samantha Cristoforetti, la prima astronauta italiana, è partita: in sei ore raggiungerà la Stazione spaziale internazionale (ISS).  È decollata con un razzo Soyuz da Bajkonur, in Kazakhstan. L'attracco alla Iss è previsto per le 3.53.
Il lancio è andato alla perfezione, la navicella è entrata in orbita ed ha aperto i pannelli solari e le antenne. A bordo con Samantha il comandante della Soyuz Anton Shkaplerov e l'americano Terry Virts. Nata a Milano ma cresciuta a Malè , Samantha ha 34 anni. E' pilota militare, capitano dell'aeronautica e ingegnere.
Guarda sul sito dell'ESA l'avventura di Samatha.
 
Vuoi sapere come si diventa astronauti?
Leggi qui.

mercoledì 12 novembre 2014

1A- L'amido

L'amido è un composto contenuto in pane, pasta, riso, patate, caratterizzato da un gran numero di unità di glucosio polimerizzate, cioè unite a formare un polimero, una lunga catena fatta di tante unità di glucosio (che possono variare da qualche centinaio fino ad alcune migliaia).

L'amido è il carboidrato di riserva delle piante, immagazzinato come fonte energetica, prodotto a partire dal glucosio (C6H12O6), a sua volta sintetizzato dalla fotosintesi clorofilliana:

6 CO2 + 6 H2O + luce + clorofilla → C6H12O6 + 6 O2

(che vuol dire anidride carbonica e acqua in presenza di luce e clorofilla si trasformano in glucosio ed ossigeno)

Noi lo abbiamo visto al microscopio dopo aver preparato dei vetrini con un po' di polpa di patata a cui abbiamo aggiunto una goccia di tintura di iodio. Anche un chicco di riso cotto e schiacciato mostrava al microscopio i tipici granuli di amido.



La clorofilla è il pigmento verde contenuto nelle foglie.

2A- Scriviamo con l'inchiostro ferrogallico

Ecco le firme dei copisti della 2A:




















Prima della diffusione della stampa l'amanuense (chiamato anche copista) era chi, per mestiere, ricopiava manoscritti. Nell'antichità classica la professione di amanuense era esercitata dagli schiavi. Dall'Alto Medioevo fu coltivata soprattutto in centri religiosi come le abbazie. A volte non c'è un unico copista ad eseguire il lavoro di riproduzione di un testo.
Il monaco benedettino copiava nella sua cella seduto con il codice sulle ginocchia, a volte usando una tavola di legno come appoggio. Solo più avanti, nel Basso Medioevo, si usavano un leggio o un tavolo.

La parola amanuense deriva dal latino servus a manu, il temine con cui i romani chiamavano gli scribi. I monaci amanuensi vivevano molte ore della giornata nello scriptorium; a loro veniva permesso di saltare alcune ore canoniche di preghiera.

Ecco come nel best seller Il nome della rosa [Bompiani, Milano, 1980, pp. 79-91] lo scrittore Umberto Eco descrive lo scriptorium:

 ... lo scriptorium ... si offriva quindi ai miei sguardi in tutta la sua spaziosa immensità. Le volte, curve e non troppo alte (meno che in una chiesa, più tuttavia che in ogni altra sala capitolare che mai vidi), sostenute da robusti pilastri, racchiudevano uno spazio soffuso di bellissima luce, perché tre enormi finestre si aprivano su ciascun lato maggiore, mentre cinque finestre minori traforavano ciascuno dei cinque lati esterni di ciascun torrione; otto finestre alte e strette, infine, lasciavano che la luce entrasse anche dal pozzo ottagonale interno. 
L’abbondanza di finestre faceva sì ché la gran sala fosse allietata da una luce continua e diffusa, anche se si era in un pomeriggio d’inverno. Le vetrate non erano colorate come quelle delle chiese, e i piombi di riunione fissavano riquadri di vetro incolore, perché la luce entrasse nel modo più puro possibile, non modulata dall’arte umana, e servisse al suo scopo, che era di illuminare il lavoro della lettura e della scrittura. ... mi sentii pervaso di grande consolazione e pensai quanto dovesse essere piacevole lavorare in quel luogo. Quale apparve ai miei occhi, in quell’ora meridiana, esso mi sembrò un gioioso opificio di sapienza. 
Vidi poi in seguito a San Gallo uno scriptorium di simili proporzioni, separato dalla biblioteca (in altri luoghi i monaci lavoravano nel luogo stesso dove erano custoditi i libri), ma non come questo bellamente disposto. Antiquarii, librarii, rubricatori e studiosi stavano seduti ciascuno al proprio tavolo, un tavolo sotto ciascuna delle finestre. E siccome le finestre erano quaranta (numero veramente perfetto dovuto alla decuplicazione del quadragono, come se i dieci comandamenti fossero stati magnificati dalle quattro virtù cardinali) quaranta monaci avrebbero potuto lavorare all’unisono, anche se in quel momento erano appena una trentina. Severino ci spiegò che i monaci che lavoravano allo scriptorium erano dispensati dagli uffici di terza, sesta e nona per non dover interrompere il loro lavoro nelle ore di luce, e arrestavano le loro attività solo al tramonto, per vespro. I posti più luminosi erano riservati agli antiquarii, gli alluminatori più esperti, ai rubricatori e ai copisti. Ogni tavolo aveva tutto quanto servisse per miniare e copiare: corni da inchiostro, penne fini che alcuni monaci stavano affinando con un coltello sottile, pietrapomice per rendere liscia la pergamena, regoli per tracciare le linee su cui si sarebbe distesa la scrittura. Accanto a ogni scriba, o al culmine del piano inclinato di ogni tavolo, stava un leggio, su cui posava il codice da copiare, la pagina coperta da mascherine che inquadravano la linea che in quel momento veniva trascritta. E alcuni avevano inchiostri d’oro e di altri colori. Altri invece stavano solo leggendo libri, e trascrivevano appunti su loro privati quaderni o tavolette. ...

I manoscritti medievali sono alla base delle nostre edizioni moderne.
Studiare le opere classiche trasmesse attraverso i manoscritti significa confrontare ogni copia manoscritta conservata perché solo in rarissimi casi sono sopravvissuti gli originali.
Le opere che si leggono a scuola sono state ricostruite a partire dal confronto tra manoscritti conservati in biblioteche ed archivi. Naturalmente le copie non erano esenti da errori. Una leggenda attribuisce a un diavoletto, chiamato Titivillus, la responsabilità di questi errori.

Guarda qualche immagine tratta da codici antichi.
Le prime due sono l'ultima terzina dell'Inferno di Dante Alighieri, e la prima terzina dello stesso. La prima è la scrittura di Giovanni Boccaccio, un altro importante autore italiano, l'autore del Decameron. La seconda è una copia fatta dal Maestro Galvano. Ci sino altri manoscritti, il cui elenco si può vedere sul sito www.danteonline.it


Trascrizione:
Salimmo suso el primo (et) io secondo
tanto chio uidi delle cose belle
che porta il ciel p(er) un p(er)tugio tondo
Et quindi uscimmo ad riueder le stelle


Trascrizione:
Nel meço del camin de nostra uita
Me ritrouai per una selua scura
Che la drita uia era smarita

Questa invece è l'immagine di una pergamena conservata nel Monastero di San Gallo in Svizzera. E' una copia eseguita verso l'880-890 dei libri I-X delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia († 636). Tutte le informazioni sono sul sito http://www.e-codices.unifr.ch/it/list/one/csg/0231

Trascrizione:
Arithmetica et disciplina numerorum. Graeci enim numerum ἀριθμόν dicunt. Quam scriptores saecularium litterarum inter disciplinas mathematicas ideo primam esse voluerunt, quoniam ipsa ut sit nullam aliam indiget disciplinam.
Traduzione:
L’aritmetica è la disciplina dei numeri. I Greci chiamano il numero aritmon. Gli scrittori di materie secolari hanno voluto che fosse la prima tra le discipline matematiche proprio perché essa non necessita di altre discipline. Invece la musica, la geometria e l’astronomia, che seguono, hanno bisogno del suo aiuto per esistere.

Questo libro, le Etymologiae, può essere considerata la prima Enciclopedia della cultura occidentale. Fu redatta dal sapiente Isidoro di Siviglia, morto nel 636, sul finir della sua vita. Il titolo spiega il metodo metodo utilizzato da Isidoro per insegnare: spiegare il significato di una parola attraverso la comprensione della sua etimologia. E' suddivisa in venti libri in cui sono elencate parole che condensano la conoscenza umana del tempo di Isidoro. Per gran parte del Medioevo, è stato il testo più utilizzato per fornire un'istruzione educativa.

Per finire, ecco qualche disegno tratto da una raccolta di "scarabocchi" che i copisti facevano a margine dei testi che copiavano ( o forse sono pasticci aggiunti successivamente):



Sono stati raccolti e catalogati da uno storico del medioevo, Erik Kwakkel, che li chiama i doodles dell'antichità.

venerdì 7 novembre 2014

2A - L'inchiostro ferro-gallico: fase 2

Fotostoria del lavoro odierno.

Galle
Galla
Gomma arabica
Pesare il solfato ferroso (copparosa)
Pestare le galle per farne piccoli pezzi


Galle a pezzi
Pesatura
Maciniamo le galle col macinino da caffè


Misuriamo la quantità esatta di acqua demineralizzata
Si mettono nel vaso tutti gli ingredienti tranne la gomma arabica

Mescoliamo
A questo punto lasciamo il nostro preparato in laboratorio affinché fermenti. La prossima settimana aggiungeremo la gomma arabica che abbiamo disciolto in acqua (1 parte su 3).